Le mascherine antipolvere servono a proteggere le vie respiratorie da particelle e polveri nocive presenti nell’aria. Possono quindi tornare utili tanto a chi desidera proteggersi da smog e inquinamento urbano quanto a chi, invece, lavora a contatto con materiali potenzialmente dannosi per la salute. Pensiamo, ad esempio, ad alcuni ambiti lavorativi industriali o all’edilizia.
Quindi, fondamentalmente, la mascherina antipolvere è pensata per proteggere chi la indossa. Tuttavia, non tutte le mascherine sono uguali: i dispositivi di protezione individuale (DPI) come le maschere filtranti FFP1, FFP2 e FFP3 possono infatti fungere da mascherina antipolvere ma anche da maschera antivirus.
Lo stesso non si può dire per le semplici mascherine in carta o per le mascherine chirurgiche usate in ambito medico sanitario e ora sempre più diffuse a causa della pandemia da Covid-19.
Scopriamo perché e approfondiamo in cosa consistono le principali differenze tra le comuni mascherine che vengono impiegate per proteggersi dalla polvere e i DPI.
Differenze tra comuni mascherine antipolvere e DPI
Le mascherine antipolvere più semplici reperibili in commercio sono realizzate in carta. Rispetto ai DPI rappresentano un’alternativa molto più economica a fronte, però, di un livello di difesa imparagonabile.
Queste mascherine consentono, infatti, solo una blanda protezione contro le polveri più grossolane, quindi possono essere impiegate, ad esempio, durante le normali pulizie degli ambienti. Oppure, in luoghi dove si sono generate polveri da muri a secco o si lavora con mattoni, legno e fibra di vetro. Possono altresì fornire una leggera protezione contro la sabbia e i pollini più grossolani che viaggiano nell’aria nei mesi primaverili.
Di sicuro, queste mascherine antipolvere non proteggono in alcun modo l’individuo dall’inalazione di sostanze tossiche come polveri sottili, fumi, gas e microrganismi patogeni. In questi casi, indossare quindi una semplice mascherina in carta pensando di ottenere una protezione adeguata significa mettere davvero a rischio la propria salute.
Chi intende, infatti, difendersi da sostanze come quelle appena citate, così come dai virus come l’attuale Coronavirus, deve ricorrere ai dispositivi di protezione individuale. Scopriamo perché.
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DPI e normativa
Come le semplici mascherine antipolvere, anche i dispositivi di protezione individuale servono a proteggere le vie respiratorie di chi li indossa. Con una differenza notevole: i DPI, infatti, devono sottostare a una normativa tecnica molto rigorosa. In particolare, devono soddisfare i requisiti della norma europea EN 140, che ne stabilisce gli standard circa la produzione ma anche caratteristiche come la resistenza, la traspirabilità, ecc. L’indicazione della norma, così come il marchio CE devono essere riportati sulla confezione di ogni dispositivo a garanzia della sua conformità.
Inoltre, la norma EN 149 suddivide i dispositivi di protezione individuale in tre classi, a seconda della loro efficienza filtrante.
Capacità filtrante dei DPI
L’altra grande differenza tra le comuni mascherine antipolvere in carta e i dispositivi di protezione individuale è che questi sono dotati di capacità filtrante. Ossia, filtrano, e dunque bloccano il passaggio nelle vie aeree di polveri, microrganismi, fumi e particelle molto piccole che, se inalate, risulterebbero dannose per la salute dell’individuo.
In base alla loro potenza filtrante, questi DPI (altrimenti detti maschere respiratorie) si distinguono in FFP1, FFP2 e FFP3.
Le mascherine FFP1 hanno un’efficienza filtrante del 78% e una percentuale di fuoriuscita all’esterno del 25% massimo. Sono utilizzate per proteggersi da polveri e particelle non particolarmente tossiche, per cui si rivelano sufficienti in settori lavorativi come quello alimentare.
Le mascherine FFP2 hanno una capacità filtrante pari al 94% e una percentuale di fuoriuscita all’esterno intorno al 8%. Sono utilizzate in settori come quello farmaceutico, edile e agricolo per proteggere i lavoratori da particelle, polveri e fumi che a lungo andare possono rivelarsi molto dannose per la salute.
Attualmente, le mascherine FFP2 sono molto impiegate in ambito medico per contrastare la pandemia da Covid-19: il personale sanitario che lavora con un moderato rischio di contagio è tenuto a indossarle.
Le mascherine FFP3 possiedono invece una capacità filtrante del 99% e una percentuale di fuoriuscita verso l’esterno del 2%. Si tratta dei DPI più efficaci nella protezione delle vie respiratorie, in quanto possono trattenere particelle, sostanze e fumi altamente tossici. Possono quindi essere indossate in luoghi di lavoro dove la concentrazione di sostanze tossiche supera di addirittura 30 volte i valori consentiti.
Per lo stesso motivo, sono in grado di proteggere dall’attacco dei virus come il Coronavirus. Sono infatti ampiamente raccomandate al personale sanitario che opera ad alto rischio di contagio da Covid-19.
Mascherine antipolvere e mascherine chirurgiche
I DPI appena descritti si distinguono anche dalle classiche mascherine chirurgiche che tutti abbiamo imparato a conoscere. Le mascherine chirurgiche sono dispositivi medici pensate per proteggere i pazienti o l’ambiente sterile dell’ospedale da eventuali contaminazioni tramite saliva o starnuti.
Pertanto, non proteggono chi le indossa ma l’ambiente e le persone circostanti. Inoltre, non possiedono alcuna capacità filtrante: chi le indossa come fossero mascherine antipolvere deve quindi essere consapevole del basso livello di protezione che questi dispositivi garantiscono.
Come i DPI, anche le mascherine chirurgiche devono presentare la marcatura CE e, in più, rispondere alla norma EN 14683.
Altri tipi di mascherine
A prova delle notevoli differenze tra i DPI e gli altri prodotti, il Ministero della Salute ci tiene a sottolineare che tutte le altre mascherine presenti in commercio (ad esempio quelle in tessuto o quelle in carta, come le classiche mascherine antipolvere) non possono essere considerate dispositivi per la protezione individuale dai virus.
Non essendo, infatti, tenute a rispettare le norme tecniche previste non possiedono neanche i requisiti necessari, per cui non possono essere utilizzate in ambito sanitario.
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