Inutile negare che la materia “lavoro” si sia rivelata come una delle più complesse da gestire sia durante il picco della crisi sanitaria da Covid-19 e sia durante il progressivo ritorno alla normalità.
La prima regola considerata ormai “universale”, che deve essere quindi rispettata in tutte le situazioni, è quella di poter mantenere una distanza di almeno un metro e mezzo tra le persone. E questo vale sia i lavoratori e sia, eventualmente, per chi proviene dall’esterno, come succede negli uffici aperti al pubblico.
La seconda regola, anch’essa ormai universale, è l’uso di una mascherina per lavoro, da indossare per l’intera durata del turno.
I provvedimenti presi per il settore non finiscono qui. In alcuni casi, ad esempio, è prevista la misurazione della temperatura a inizio giornata, così come il ricorso ai tamponi, se necessario.
Altre misure riguardano la riorganizzazione degli spazi e delle fasce orarie per poter “diluire” la presenza dei dipendenti nell’arco della giornata ed evitare che troppe persone insieme condividano uno spazio ristretto.
Dispenser di disinfettanti e soluzioni idroalcoliche, così come la sanificazione frequente degli ambienti sono altri interventi molto importanti che vanno adottati nei luoghi di lavoro.
Le aziende e gli uffici che non agiranno in linea con queste disposizioni correranno diversi rischi, dalle sanzioni alla sospensione delle attività.
Qui ci concentriamo, in particolare, su una di queste misure: l’uso della mascherina per lavoro.
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Mascherina per lavoro: cos’è e quando serve
La mascherina resa obbligatoria per lavoro è, nella maggior parte dei casi, quella chirurgica. Come vedremo nei prossimi paragrafi, fa eccezione il personale sanitario che lavora nei reparti Covid-19.
La mascherina chirurgica è un dispositivo medico pensato per far da barriera alle goccioline di saliva e di altri fluidi provenienti dal portatore ed evitare, così, che si trasmettano all’esterno. In questo modo, si limita la diffusione di virus e batteri nell’aria.
Pertanto, questi dispositivi non proteggono chi li indossa, ma funzionano come barriera tra chi li indossa e l’ambiente circostante. Servono, in pratica, a proteggere gli altri dal rischio di eventuali contagi.
Vediamo, in particolare, cosa prevedono le attuali disposizioni circa l’uso della mascherina chirurgica nei luoghi di lavoro.
Chi deve indossare una mascherina per lavoro
Per disposizioni delle autorità, in base alle linee guida fornite in occasione della pandemia da Covid-19 e, successivamente, durante la fase due, sono davvero tanti coloro chiamati a indossare una mascherina per lavoro.
In generale, l’intera popolazione è obbligata a indossare la mascherina chirurgica nei luoghi chiusi e in tutte quelle situazioni in cui non è possibile garantire il rispetto di un distanziamento adeguato tra gli individui. Ovviamente, sono tenute a indossarla anche le persone che mostrano sintomi come tosse e raffreddore (anche se sarebbe il caso che queste rimanessero a casa).
Allo stesso modo, tutti i dipendenti che lavorano a contatto con il pubblico devono portarla. La regola del distanziamento sociale vale, infatti, per tutti gli uffici, sia che si tratti di luoghi aperti al pubblico e sia che si tratti di luoghi privati: pertanto, tutti i dipendenti pubblici e privati sono tenuti a indossare la mascherina per lavoro.
Lo stesso vale assolutamente anche all’interno di fabbriche e stabilimenti produttivi, così come per gli addetti alla vendita di qualsiasi tipo di beni, le forze dell’ordine, i conducenti dei mezzi pubblici, i dipendenti del settore della ristorazione, gli operatori del settore cosmesi e benessere e, in generale, chiunque lavori fuori casa.
Le mascherine chirurgiche possono essere usate anche dai dentisti e dal personale medico sanitario che non interviene nei reparti Covid-19. Nel prossimo paragrafo vedremo che per i medici e gli infermieri che lavorano a contatto con pazienti infetti e positivi occorre un altro tipo di dispositivo.
Mascherina per lavoro DPI: quando è necessaria?
Le mascherine che garantiscono una protezione completa dal Coronavirus ma anche da altri tipi di virus, così come dalle polveri sottili, i fumi e gli agenti inquinanti, sono i dispositivi di protezione individuale (DPI). Questi, infatti, sono in grado di proteggere l’apparato respiratorio dall’ingresso di particelle nocive dalle dimensioni piccolissime (0,6 micron).
I DPI vengono infatti usati per evitare che chi li indossa possa inalare sostanze pericolose o entrare in contatto, appunto, con i virus. Vanno quindi indossati quando si è sottoposti a un livello alto di esposizione al contagio.
Ecco perché queste sono le mascherine raccomandate dalle autorità sanitarie ai medici, agli infermieri e al personale che lavora a stretto contatto con i pazienti Covid-19.
Non a caso, i DPI sono regolati da standard normativi molto rigidi. Per risultare conformi devono possedere la marcatura CE e devono dimostrare di aver superato diversi test e prove di efficienza.
La normativa di riferimento per questi dispositivi è la EN 149. Questa li suddivide in tre classi a seconda della loro capacità filtrante: mascherine FFP1, FFP2 e mascherine FFP3.
Il personale medico sanitario che lavora nei reparti Covid-19 è tenuto a indossare le mascherine FFP2 e FFP3, che garantiscono un’efficacia filtrante pari al 92% e al 98%. Per lo stesso motivo, anche i dipendenti di alcuni settori industriali devono indossare gli stessi dispositivi, specie se lavorano a contatto con sostanze nocive come l’amianto.
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