Un tempo eravamo abituati a collegare l’immagine delle mascherine sul viso esclusivamente a quella dei turisti giapponesi in vacanza nelle nostre città o alle visite dal dottore e dal dentista.
Da quando è esplosa l’emergenza sanitaria del Coronavirus, le cose sono molto cambiate e, per disposizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle altre autorità in campo sanitario, le mascherine chirurgiche monouso si sono così diffuse da diventare uno dei tanti oggetti importanti della nostra quotidianità.
Stiamo imparando a conoscerle meglio, dal momento che è diventato obbligatorio indossarle nella maggior parte delle situazioni che passiamo fuori casa. Dunque, è del tutto legittimo chiedersi come sono fatti questi dispositivi, come si usano e come funzionano.
In questo articolo, entriamo proprio nel merito di come sono fatte le mascherine chirurgiche monouso che tutti, ormai, portiamo abitualmente sul viso: quanti strati le compongono, con quali materiali sono realizzate e che tipo di protezione possono garantire.
Leggi anche: Mascherine con filtro: quando e perché potresti farne a meno
Come sono fatte le mascherine chirurgiche monouso
Sappiamo che le mascherine chirurgiche monouso sono dispositivi medici, che si differenziano dai dispositivi di protezione individuali come le mascherine filtranti FFP1, FFP2 e mascherine FFP3.
Quelle chirurgiche, infatti, sono pensate per proteggere gli altri dall’eventuale contaminazione di chi le indossa. I dispositivi di protezione individuale, invece, sono fatti per proteggere la persona che li indossa dall’inalazione di particelle nocive, virus e polveri presenti nell’aria e provenienti dall’esterno.
La principale differenza tra le due tipologie di mascherine consiste nel fatto che quelle chirurgiche non possiedono una capacità filtrante che possa fare da barriera ai microrganismi all’ingresso. Tuttavia, se indossate correttamente da chi è infetto possono proteggere gli altri dalla contaminazione di colpi di tosse e starnuti.
Allo stesso modo, le mascherine chirurgiche monouso vengono usate da medici e infermieri durante le visite o in sala operatoria per evitare di trasmettere infezioni nell’ambiente.
Ricordiamo, però, che la protezione più forte contro i virus (e non solo), come il Coronavirus, si ottiene proteggendo se stessi con le mascherine FFP2 o FFP3. Le mascherine chirurgiche monouso possono però essere utilizzate in mancanza di dispositivi più efficaci contro i virus.
Dopo questa doverosa distinzione, scopriamo come sono fatte le mascherine chirurgiche monouso.
Mascherine chirurgiche monouso: numero di strati e materiali
La maggior parte delle mascherine chirurgiche monouso si compongono di tre strati sovrapposti.
Lo strato centrale è quello più importante perché è quello filtrante, che fa da barriera ai microrganismi dannosi all’entrata e all’uscita. Tuttavia, come abbiamo detto, la protezione offerta dalle mascherine chirurgiche monouso è molto più limitata rispetto ai dispositivi di protezione individuale. La capacità filtrante, infatti, è quasi totale verso l’esterno (arriva fino al 90%), ma è molto ridotta dall’esterno verso chi le indossa (arriva più o meno al 20%). Questo perché questi dispositivi, una volta indossati, non aderiscono mai perfettamente al volto.
Lo strato filtrante delle mascherine chirurgiche è fatto di Polipropilene soffiato a fusione. Il primo e il terzo strato sono, invece, fatti di materiale di tessuto non tessuto. Lo strato più esterno, di solito, è un tessuto non tessuto di tipo Spunbond al quale viene fatto un trattamento idrofobo per garantire la resistenza agli eventuali schizzi d’acqua.
Anche lo strato più interno, quello a contatto con il viso, è in materiale Spunbond. Inoltre, è realizzato in modo che risulti anallergico per la pelle. In alcuni casi, questo strato può presentare la barretta regolabile per il naso o le linguette che permettono alla mascherina di fissarsi meglio ai contorni del volto.
Altri materiali che possono essere usati nella produzione delle mascherine chirurgiche monouso sono il polistirene, il policarbonato e il poliestere.
Gli strati di tessuto non tessuto sono, a loro volta, composti da più strati assemblati insieme da alcuni macchinari specifici con bobine. Dopo l’assembramento finale, ogni mascherina viene sterilizzata.
Un aspetto molto importante è la validazione di ogni dispositivo: questa fase avviene tramite il superamento di alcuni test che garantiscono l’efficacia del prodotto. La maggior parte di questi test indagano la capacità filtrante, la traspirabilità e la resistenza della mascherina: la protezione fornita dai dispositivi, infatti, dipende molto dal tipo di materiale usato per produrli, ma anche dal modo in cui è avvenuta la lavorazione e l’intreccio dei materiali tra loro.
Se una mascherina chirurgica è certificata secondo la norma UNI EN 14683:2019 + AC:2019, vuol dire che è stata prodotta secondo tutti i criteri stabiliti per legge e che ha superato tutti i testi di validazione.
Infine, ricordiamo che qualsiasi mascherina può rivelarsi del tutto inefficace se non indossata correttamente, oppure se danneggiata e se è stata a contatto con persone o superfici contaminate.
Pertanto, l’uso di questi dispositivi deve essere sempre accompagnato da adeguati comportamenti (ad esempio il distanziamento sociale) e dal rispetto delle norme igieniche (come lavarsi spesso le mani con estrema attenzione o, nell’impossibilità di farlo, utilizzare un gel igienizzante mani), così come raccomandato dalle autorità in ambito sanitario.
Leggi anche: Mascherine contro i virus: questi gli unici modelli efficaci