Tutti i dispositivi di protezione individuale sono pensati per evitare che polveri, fumi e microrganismi potenzialmente dannosi per la salute entrino a contatto con l’individuo passando per le vie respiratorie. La capacità filtrante di questi strumenti, pur con le dovute differenze tra i vari modelli, fa sì che possano trattenere le particelle impendendo a chi li indossa di inalarle.
Diverse professioni comportano il rischio di venire a contatto con microrganismi, virus e altre particelle dannose.
L’emergenza sanitaria del Coronavirus ci fa pensare immediatamente a medici, infermieri e al personale che lavora negli ospedali, ma non dobbiamo dimenticare chi lavora nei laboratori biologici, chi si occupa di trattamento dei rifiuti e chi opera nel settore della manutenzione degli impianti idrici e di climatizzazione. E potremmo citarne ancora tanti altri.
Vediamo come funzionano i principali modelli di mascherine per rischio biologico e quali sono le loro principali caratteristiche.
Mascherine per rischio biologico: modelli e caratteristiche fondamentali
Nella macro categoria delle mascherine per rischio biologico rientrano diversi strumenti.
In particolare, distinguiamo i DPI (dispositivi di protezione individuale) che proteggono chi li indossa, dalle mascherine chirurgiche, ossia dispositivi medici che non proteggono chi li indossa, bensì gli altri con cui entrano in contatto. Vediamoli nel dettaglio.
Leggi anche: Mascherine sanitarie e governo italiano: ecco come stanno le cose
I dispositivi di protezione individuale DPI
Tra i DPI più comuni vi sono le maschere filtranti monouso, certificate secondo la norma tecnica UNI EN 149:2001. Tale norma specifica i requisiti minimi dei dispositivi in termini di efficienza, traspirabilità, stabilità della struttura, attraverso prove e test tecnici.
Questi dispositivi proteggono le vie aeree dell’individuo coprendo naso, bocca e mento. Si caratterizzano per la presenza di filtri che, a seconda della potenza filtrante, si distinguono in FFP1, FFP2 e mascherine FFP3 (dove FF significa “facciale filtrante”, P sta per “protezione dalla polvere” e il numero indica il grado di protezione, che arriva a un massino di 98% nel caso dei FFP3).
Chi lavora a contatto con pazienti (ma anche animali e campioni) affetti da patologie molto gravi o infetti da microrganismi che trasmettono le stesse patologie attraverso le vie respiratorie deve proteggersi indossando una maschera almeno FFP2, con capacità filtrante al 95%.
In casi potenzialmente più pericolosi, nei quali è superiore il rischio di dispersione nell’aria degli agenti patogeni e quindi di contagio, è necessario dotarsi dei dispositivi di protezione individuale FFP3.
Durante la pandemia da Covid-19, entrambe queste tipologie di maschere filtranti vengono utilizzate per permettere di proteggere medici e personale sanitario di individui contagiati o risultati positivi al virus.
Le mascherine chirurgiche
Le mascherine per rischio biologico chirurgiche non rientrano tra i dispositivi di protezione individuali ma tra i dispositivi medici. Queste mascherine non possiedono un filtro, come le maschere FFP1, FFP2 e FFP3; non proteggono il medico che le indossa ma il paziente che viene visitato.
Tra i settori nei quali vengono più comunemente impiegate, oltre a quello sanitario, vi è l’alimentare: servono, infatti, a proteggere cibi e materie prime da eventuali contaminazioni.
La norma tecnica che certifica la corretta produzione e il giusto funzionamento delle mascherine chirurgiche è la UNI EN 14683:2019. Tra i requisiti previsti dalla norma vi sono la resistenza a schizzi liquidi, la traspirabilità, l’efficienza di filtrazione batterica e la pulizia da microbi.
Caratteristiche fondamentali delle mascherine per rischio biologico
Quando acquistiamo un dispositivo medico o di protezione individuale come quelli descritti nei paragrafi precedenti, dobbiamo fare attenzione che rispetti tutte le caratteristiche fondamentali necessarie a garantirne l’efficacia. In particolare, le mascherine per rischio biologico devono:
- Essere certificate
- Avere una capacità filtrante
- Presentare le indicazioni NR o R
Vediamo cosa significa.
Secondo le disposizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, questi prodotti devono risultare conformi alla norma EN 149 e riportare la marcatura CE seguita dal codice dell’ente che ne regola la messa in commercio.
Pertanto, i consumatori, quando acquistano uno di questi dispositivi, devono fare attenzione che rispetti tale caratteristica e riporti informazioni coerenti.
I dispositivi FFP2 e FFP3, che fanno da barriera protettiva con una potenza del 92% e del 98%, devono essere realizzati interamente o quasi in materiali filtranti che possano evitare il passaggio di particelle solide e liquide.
Ricordiamo, poi, che, una volta indossate, le maschere FFP2 e FFP3, per essere efficaci, devono poter coprire naso, mento e bocca.
La durata dei dispositivi di protezione individuali FFP2 e FFP3 deve rispettare determinate indicazioni di tempo e utilizzo.
Queste maschere sono per lo più monouso e, di solito, mostrano anche una scadenza.
Un recente aggiornamento normativo ha previsto che i produttori debbano indicare se si tratta di prodotti non riutilizzabili o riutilizzabili. Se la maschera riporta le lettere NR è monouso e va gettata subito dopo l’utilizzo; se invece riporta la lettera R può essere riutilizzata (attenendosi comunque alle procedure di sanificazione indicate).
In sintesi, queste rientrano tra le caratteristiche più importanti che le mascherine per uso biologico devono rispettare per poter essere efficaci.
Leggi anche: Mascherine trasparenti: la soluzione alla lettura del labiale nel mondo dei sordi